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Due appunti su “Mother Earth's Plantasia” by Stefano Mancuso

Che le piante siano, effettivamente, in grado di percepire il suono è un’acquisizione degli ultimi anni. Nel 2012, insieme a due colleghi, dimostrai che le radici delle piante erano in grado di percepire frequenze nell’intervallo fra 50 e 5000 Hz, rispondendo in maniera opportuna ai diversi suoni. I 200 Hz, ad esempio, rappresentando la frequenza sonora di picco nel suono dell’acqua corrente, piace moltissimo alle radici, che si dirigono verso la sorgente del suono senza indugio. Frequenze diverse, soprattutto quelle più alte, sono, al contrario, non molto gradite alle piante. Il suono delle vibrazioni delle ali degli insetti o dei loro richiami, di solito piuttosto acuto, è avvertito, infatti, dalle piante come pericoloso. La capacità delle piante di rispondere alle onde sonore nel loro ambiente è molto più diffusa di quanto pensiamo e numerose specie hanno sviluppato una serie di strategie per sfruttare il suono. Ad esempio, circa 20.000 specie vegetali diverse sono in grado di rilasciare il polline dai fiori solo quando sentono la corretta frequenza del suono prodotto dalle ali del proprio insetto impollinatore Su queste basi, non è sorprendente che in molti abbiano pensato ad una diretta influenza della musica sulla crescita delle piante.

Mother Earth's Plantasia è, senza dubbio, la realizzazione più straordinaria ed affascinante mai prodotta in questo senso. Warm earth music for plants... and the people who love them, è questo il sottotitolo del disco: musica per le piante e per chi le ama e Mort Garson ne era davvero convinto. Alla fine degli anni ’90 del secolo scorso, da giovane ricercatore, partecipavo ad un convegno sulla fisiologia delle piante a Edimburgo. Avevo appena parlato delle capacità di senso delle piante, fra i mugugni e la disapprovazione della maggior parte dei miei colleghi più anziani. Ero giovane e piuttosto abbattuto per le critiche ricevute, quando un signore, a me totalmente sconosciuto, mi si avvicinò per complimentarsi e per assicurarmi che il mondo vegetale era perfettamente in grado di apprezzare la musica: era Mort Garson. Si presentò come “musicista” e mi raccontò delle sue musiche scritte “per le piante”. Mi raccontò che aveva collaborato con dei botanici per la scrittura di Mother Earth's Plantasia e che gli effetti sulle piante erano indubitabili.

Qualche settimana dopo ricevetti in laboratorio un pacchetto contenente il suo disco e una gentilissima lettera in cui mi pregava di sperimentare le sue musiche sulle piante. Non l’ho fatto, mi sembrava una perdita di tempo. Ho anche perso nei traslochi lettera e disco. Non avevo alcuna idea di che razza di musicista fosse Mort Garson e della sua leggendaria carriera. Quando lo scoprii era troppo tardi (Garson è morto nel 2008) per fargli sapere che aveva ragione. Così, quando Enrico Gabrielli – co-fondatore di questa collana – mi ha scritto chiedendomi “due righe” su Mother Earth's Plantasia mi è sembrato di poter, in qualche modo, utilizzarle per ricordare quell’insolito incontro e per ringraziare Mort Garson della sua gentilezza e per la sua intuizione sulle capacità delle piante. Ascoltate questo disco insieme alle vostre piante e ne uscirete tutti più felici.

The notion that plants can effectively detect sound is a recent acquisition. Together with two colleagues of mine, I was able to demonstrate in 2012 that the roots of plants can perceive frequencies sitting between 50 and 5000 Hz, and respond to them accordingly. For instance, 200 Hz is a pleasant frequency for roots, as it represents the sound peak for a water stream, thus stimulating them to direct themselves towards that sound source. On the other hand, other—usually higher—frequencies are much less pleasant for plants. The vibrations of a bug’s wings, or their calls, which are usually high pitched sounds, is in fact perceived as dangerous by plants.

Plants’ ability to respond to the different sound waves of their environment is much more widespread than we think, and some of them have developed a set of strategies to exploit sound sources. For instance, 20,000 different species release their pollen only when they hear the correct frequency corresponding to the vibrations emanating from the wings of their selected pollinator.

On these premises, it shouldn’t surprise that a few people have supposed a direct influence of music on the growth of plants. Mother Earth's Plantasia, is without a doubt the most fascinating example of this way of thinking. Its subtitle reads Warm earth music for plants... and the people who love them: Mort Garson was truly convinced about this theory.

At the end of the 90s, I was a young researcher attending a panel on the physiology of plants in Edinburgh. I had just delivered a speech on the sensory abilities of plants, which was met with my older colleague’s disapproval, when someone I didn’t know came up to my disheartened self to share his compliments and confirm plants are absolutely capable of appreciating music played to them. His name was Mort Garson. He told me he was a musician and that he had written music specifically for plants, as he collaborated with some botanists on a project called Mother Earth's Plantasia. He was in no doubt that the effects of music on plants are noticeable.

Some weeks later, I received at my lab a parcel with his album and a nice letter inviting me to play his music to our plants. I didn’t do it, as I deemed it a waste of time. I even ended up losing both the letter and the album when I moved house. At the time, I didn’t know what an amazing artist Mort Garson was and what a legendary career he had. When I discovered about him, it was too late to let him know how right he was: he passed away in 2008. So when Enrico Gabrielli—the co-founder of this album series—got in touch to ask me a few words on Mother Earth's Plantasia I thought this could be the occasion to somehow remember that odd encounter and thank Mort Garson for his kindness and his intuition on the acoustic abilities of plants. I invite you to listen to this album together with your plants: you will all come out of it much happier.

Collattività by Enrico Gabrielli

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In Italia ci sono alcuni cognomi con poche sillabe che hanno una natura semantica.
Colla è la “colla” per attaccare, ma è anche una preposizione articolata che significa “con la”.  La Compagnia Marionettistica Carlo Colla & figli fa abbondante uso di colla per fabbricare parte delle cartapesta di scena e contemporaneamente si esprime con la forza di una collettività che, dopo svariate generazioni, ha mantenuto intatto lo spirito di compagnia familiare dove si fa tutto assieme, si mangia tutti assieme e si distribuiscono equamente ruoli e responsabilità. Potremmo dire: “colla” comunità si fa la forza.
Li ricordo bene, nel 1998, quando a seguito dell’ensemble di Danilo Lorenzini andammo a Losanna per alcune rappresentazioni del ballo “Excelsior” di Romualdo Marenco nella celebre versione marionettistica. Per chi non sa cos'era, il ballo “Excelsior” fu uno dei primi colossal danzanti, dove personaggi come la Luce, la Civiltà e l’Oscurantismo si battevano a suon di pas double sullo sfondo delle grande opere ingegneristiche e tecniche di fin siècle. Il M° Danilo Lorenzini, eccellente docente di composizione tradizionale al Conservatorio di Milano aveva (ed ha tutt’ora) l’incarico di mastro concertatore e compositore di musiche originali per la celebre Compagnia meneghina. Sue le splendide composizioni de “Il pifferaio magico” e “Pocahontas” (e non quell’obbrobrio della Disney) e sue le riduzioni per piccolo ensemble dell’”Excelsior”.
In quella settimana di stretta convivenza, ebbi modo di conoscere quel grandissimo uomo di teatro che fu Eugenio Monti Colla. Ricordo benissimo quanto mi sentivo piccolo e inadeguato di fronte alle categorie culturali del signor Eugenio, che aveva in testa modelli di teatro d’opera settecento-ottocenteschi e centocinquant'anni di tradizione artigianale. Era anche un maniaco del dettaglio ed ancor più un maniaco della minuzia narrativa, manie che a volte sfociavano nel giudizio umano attraverso un sarcasmo elegante, e a tratti crudele, come quello di Carmelo Bene.
All’Atelier Colla, attivo e accogliente (in via Montegani 35), nelle brochure di sala c’è un elenco infinito di personalità che dal 1863 (o giù di lì!) hanno visitato i loro spettacoli: da Manuel De Falla ad Igor Stravinskij, da Simon Weil a Luchino Visconti, da Erminio Macario a Giorgio Strehler, da Paolo Poli a Carla Fracci, da Ciro Menotti a Filippo Crivelli etc..                                            Viaggiano in tutto il mondo, portando il gonfalone di “Compagnia di marionette di Milano”, malgrado la città meneghina, proiettata verso la quinta (o quarta?) linea della metropolitana e la fine dei primi vent’anni del millennio, sembri non essere pienamente a conoscenza di questo tesoro, di questo cimelio culturale imprescindibile. Ricordo che penavano per avere una sede istituzionale adeguata. Da poco però è stato riaperto il Teatro Gerolamo (la "piccola Scala"), in piazza Beccaria, nelle forme nuove ma rispettose di ciò che fu il teatro di adozione dei Colla per moltissimi anni. E questo spero sarà un bene.
Prima di imbarcarsi in quella megalitica avventura che fu UPM - Unità di produzione Musicale, Enece Film ha realizzato un bellissimo documentario su Eugenio Monti Colla, suo cugino Carlo III e sulla Compagnia. Si tratta di un documento video atipico perché il centro d’interesse sono gli esseri umani, la compagnia-famiglia dietro alla macchina scenica, impegnati nell’allestimento di una splendida versione del “Macbeth”. Gli attori di legno svolgono al meglio il ruolo della tragedia Shakespeariana senza essere, in pratica, mai inquadrati.
È caldamente consigliata la sua visione per vedere il “dal di dentro” del complesso lavorio quotidiano, stupefacente nella sua semplicità e nel suo utilizzo di mezzi artigianali.
Ma che sia questo documentario, che sia l’Atelier, il Teatro Gerolamo o il Teatro Studio Melato, ovunque si trovino in cartellone nei sette angoli del pianeta, andarli a vedere è un beneficio dell’anima, per vedere se la nostra anima di uomini è degna dei materiali celesti di cui son fatti quegli incredibili homunculus di cinquanta centimetri.

https://www.marionettecolla.org/

EG

Classical:NEXT 2017 by Francesco Fusaro

Have you ever been to Rotterdam? Definitely less charming than Amsterdam, it has its own way to be interesting, particularly if you are into contemporary architecture and music. Think of Classical:NEXT, for instance: it's probably the biggest classical music conference at the moment, with tonnes of music industry representatives and artists coming together to discuss what's next (sorry) for the music we champion here at 19'40''. There was a wealth of interesting panels on music streaming services, the death of music journalism (RIP), the classical independent scene (hello!) and the so-called Neoclassical ("Bright new hope or load of kitschy crap?" was the interesting question there). And guess what, they had a decent array of performances, too! While we will admit the level of those wasn't as thrilling as that of the past edition, some of them are definitely worth a mention. Unfortunately, we weren't able to find the videos of original performances, except for Colombian trio Trip Trip Trip, so you'll have to vicariously enjoy them through some other stuff we managed to find online.

From crazy experiments by electric guitar quartet Zwerm to Breath & Hammer's (aka David Krakauer & Kathleen Tagg) blend of klezmer, bossa nova and avant-garde, through the aforementioned Trip Trip Trip, here's the best of Classical:NEXT 2017, according to 19'40''.

Mai visitato Rotterdam? Sicuramente meno affascinante di Amsterdam, sa essere a suo modo interessante, soprattutto se ti piace l'architettura contemporanea e la musica. Prendiamo ad esempio Classical:NEXT: si tratta probabilmente del più grande convegno di musica classica al momento, con un gran numero di rappresentanti dell'industria musicale e artisti provenienti da tutti i continenti, riuniti a discutere del futuro del repertorio che sponsorizziamo caldamente qui a 19'40''. C'erano un po' di conferenza interessanti sui servizi di streaming, la morte del giornalismo musicale (RIP), la scena classica indipendente (ciao!) e il cosiddetto genere Neoclassical ("Nuova speranza o ciarpame kitsch?" era l'interessante domanda del dibattito). E indovina un po', c'erano anche diverse performance da vedere in tutto questo! Sebbene il livello non fosse all'altezza dell'edizione precedente, alcune di esse vanno decisamente menzionate. Purtroppo non ci è stato possibile trovare i video originali dei concerti, a parte quello del trio colombiano Trip Trip Trip, perciò dovrai accontentarti di goderne indirettamente, grazie ad altro materiale che siamo riusciti a trovare in rete.

Dai pazzi esperimenti del quartetto di chitarre elettriche Zwerm al mescolamento di klezmer, bossa nova e avanguardia del duo Beath & Hammer (ovvero David Krakauer & Kathleen Tagg), passando per il già citato Trip Trip Trip, eccoti il meglio di Classical:NEXT 2017, secondo 19'40''.

Dionyso knocking on Olympia's doors by Francesco Fusaro

You may find the title a bit too refined, but it is absolutely consistent with reality. Arrington de Dionyso is based in Olympia, Washington, where he was born in 1974 (or should it be 1975?). For those not familiar with him, he is best known as a multi-instrumentalist with some seriously dazzling ideas: his output brings together the sounds of post-punk and no wave, of Indonesian chants and funk, of hip-hop and figurative painting, and also includes conceptual art, trance and a deep study of many other ethnic idioms.

In the following video, you can watch him by the Deschutes river, performing an improvisation on the (fake?) soundtrack for the new Twin Peaks. He once said: "Bass clarinet is not a musical instrument, it's a religion". His music projects include Old Time Relijun, Malaikat dan Singa, This Saxophone Kills Fascists, and many more... Start digging this Western mystic's output right now!

Titolo troppo aulico? Eppure è assolutamente vero: Arrington De Dionyso è nato nel 1974 (o 1975?) ad Olympia, Washington e lì vive con il suo enorme carico di storia artistica. Per chi non lo conoscesse è un improvvisatore polistrumentista dalle idee folgoranti, mutuate da un'infinità di stimoli che vanno dal post-punk alla no wave, dalla vocalità indonesiana all'immaginario apocalittico, dal funk all'hip-hop, dalle forme d'arte pittoriche a quelle concettuali, dalla trance allo studio meticoloso dei linguaggi etnici tra i più disparati.

Nel video qui sopra lo troviamo sulle rive del fiume Deschutes mentre si cimenta con l'esecuzione di un brano improvvisato e tratto (per finta o per davvero?) dalla nuova colonna sonora del nuovo Twin Peaks. A proposito del clarinetto basso una volta disse: "non è uno strumento, è una religione". Ecco alcune altre sue entità musicali: Old Time Relijun, Malaikat dan Singa, This Saxophone Kills Fascists...Il resto delle incarnazioni (e ce n'è di tutti i tipi) di questo profondo mistico d'occidente, lo lasciamo al vostro desiderio di scoperta...

The Perfect Ping by Francesco Fusaro

Do you remember that famous Monty Python's sketch, The Miracle of Birth, out of that romp that is The Meaning of Life? A pregnant lady, lying in the delivery room, surrounded by a stack of doctors, nurses and expensive machinery, including "the machine that goes ping"? Well, it turns out that figuring what a "ping" needs to do inspired a couple of brilliant people to write what has been dubbed "the world's ugliest music", i.e. music without repetition at all.

OK, you have probably been frowning like William Blake's night since the beginning of this post, so let's clear this mess up, shall we? In the 60s, electrical engineer John Costas was trying to solve the problem of poor performance of sonar systems. The "ping" used at the time wasn't particularly informative, so Costas got in touch with mathematician Solomon Golomb to solve the problem. This is how the two got into creating a sequence of notes that avoid repetition. At all. Weird enough, so click below to listen to Scott Rickard unjumbling the whole thing and introducing the premiere of "the world's ugliest music". (Spoiler alert: that music might not be particularly ugly to you!)

Ti ricordi quel famoso sketch dei Monty Python, The Miracle of Birth, tratto da quell'ottovolante che è il loro film The Meaning of Life? La donna partoriente, stesa in sala parto e circondata da un'ammasso di dottori, infermiere e strani aggeggi, fra i quali «la macchina che fa ping»? Beh, a quanto pare la ricerca intorno a come un tal suono ("ping") debba esattamente comportarsi avrebbe spinto due menti eccelse a produrre «la musica più brutta del mondo», ovvero musica senza alcuna ripetizione.

OK, la tua espressione accigliata ci dice che è il caso di fare un attimo di chiarezza, che dici? Allora: negli anni Sessanta l'ingegnere elettrico John Costas stava cercando di risolvere il problema della scarsa resa dei sonar impiegati all'epoca. Il tipico "ping" usato non era infatti in grado di fornire informazioni accurate, così il buon Costas si mise in contatto con il matematico Solomon Golomb per dirimere la questione. In questo modo i due finirono per creare una sequenza di note che evita qualsiasi ripetizione. Piuttosto bizzarra come cosa, infatti lascia che Scott Rickard qui sopra ti spieghi per benino il tutto, prima di introdurti alla première della «musica più brutta del mondo». (Spoiler alert: potresti anche trovare quella musica davvero non così brutta!)  

Kinky Wolfgang by Francesco Fusaro

One of the most enduring stereotypes about classical music is its detachment from the miseries of life. It is a repertoire linked with refined manners, ultimate erudition and some kind of mysticism: or so the story goes. Luckily enough, this is not always the case, and there is nothing like Mozart's music to prove our point.

We probably need to thank Czech director Miloš Forman for a different take on the life and music of Amadé. Before his Amadeus, the Austrian music prodigy was the quintessential antiquated composer: someone you had to study, rather than you enjoyed studying in your academic years. With all its exaggerations and historical inaccuracies, Forman's film unearthed the witty and exhilarating Mozart, and his kinky canons are a good example of the light-hearted (and sometimes caustic) side of his personality. 

Let's take Difficile lectu as an example. The text reads Difficile lectu mihi mars et jonicu difficile, which doesn't make any sense in Latin. In fact, the phrase comprises two bilingual puns: lectu mihi mars, which would sound as leck du mi im Arsch ('lick my arse'), if sung with a Bavarian German accent (Bavarian tenor-baritone Johann Nepomuk Peyerl was probably the lead singer of the first performance of this piece); and jonicu, a word that turns into its cheeky Italian cousin cojuni ('balls, testicles'), if sung repeatedly. 

It's actually a pretty enjoyable canon, so feel free to drop it at your next party and giggle by yourself like a creep.

Uno stereotipo piuttosto difficile da estirpare è quello che vuole la musica classica distante dalle miserie del quotidiano. Modi raffinati, vasta erudizione e una sorta di misticismo sono le caratteristiche associate al repertorio e a chi lo frequenta, giusto? Per fortuna non è esattamente il caso, e la musica di Mozart ci può facilmente aiutare a smontare il mito.

Dobbiamo probabilmente ringraziare il regista ceco Miloš Forman per aver cambiato idea su Amadé. Prima di quel successone che è stato Amadeus, infatti, l'enfant prodige austriaco era considerato la quintessenza della noia accademica: roba che ti toccava studiare, non che ti divertivi a studiare, durante la tua formazione musicale. Nonostante le sue inaccuratezze storiche ed esagerazioni, il film di Forman ha avuto il pregio di portare alla luce il Mozart acuto ed esuberante; i canoni 'osceni' di Amadé sonon a tutti gli effetti un ottimo esempio del lato leggero e persino caustico della sua personalità.

Prendiamo il caso di Difficile lectu. Il testo di questo breve canone recita Difficile lectu mihi mars et jonicu difficile, che in latino non vuol dire un granché... L'arcano è presto svelato: si tratta di un doppio gioco di parole basato sul tedesco e sull'italiano. La sequenza lectu mihi mars, infatti, suona come leck du mi im Arsch ('leccami il culo') se pronunciato con accento bavarese (Johann Nepomuk Peyerl, probabilmente uno dei cantanti della prima esecuzione del brano, era in effetti bavarese). La parola jonicu, invece, suona come il suo sboccato cugino italiano, se pronunciata ripetutamente (come in effetti accade nel canone).

Si tratta di un brano piuttosto piacevole, quindi ora sapete che cosa mettere al prossimo party in casa per ridervela da soli come dei viscidoni.

Introducing... David Kanaga by Francesco Fusaro

OK, we don't know much about David Kanaga, because the man seems to steer clear from the media. But we guess that his music speaks for itself (and on his behalf)...

Drawing inspiration from very different sources, from video game music to Russian classical repertoire, Kanaga is one of the most exciting (anti)classical music composers we have stepped into recently. Together with Ed Key, he is behind the design of Proteus, an exploration video game released in 2013. A perfect example of what sort of beautiful experiences you can have if you lose yourself in the world of independent video games, Proteus is very much about sound as it is about graphic design. No wonder that we ended up buying its (imaginary) soundtrack on Kanaga's own Bandcamp (and yes, we indulged in some more shopping, while we were at it).

We would definitely recommend having a listen to his version of Shostakovich's Second Piano Concerto, just to get a better sense of why we love Kanaga... Did anyone say De Gennaro's Hippos Epos?

Dunque, non è che si sappia molto di questo David Kanaga: a quanto pare, il nostro non è esattamente un amante dei media. Ma in questo caso è lecito dire che la sua musica parli per lui...

Ci sono parecchi riferimenti musicali nella sua musica, dai video giochi al repertorio classico russo, e questo è uno dei motivi per cui abbiamo deciso di parlartene. Insieme a Ed Key, Kanaga ha prodotto nel 2013 un videogioco, Proteus, dove il suono è parte integrante della progettazione. Un esempio davvero efficace di quali meraviglie si possano incontrare quando ci si perde nel mondo dei videogiochi indipendenti. Non è un caso insomma se abbiamo deciso di acquistare la sua colonna sonora immaginaria direttamente sulla pagina Bandcamp di Kanaga (e sì, già che c'eravamo abbiamo fatto qualche ulteriore spesuccia).

Ti raccomandiamo caldamente di ascoltare la sua versione del Concerto per pianoforte e orchestra n. 2 di Šostakovič, così puoi farti un'idea del perché ci piaccia così tanto. Qualcuno ha detto Hippos Epos di Sebastiano De Gennaro?